Scrivere un riassunto della storia di Solin, una volta capitale della provincia romana e descrivere alcuni tra i suoi monumenti più importanti è un compito attraente ma anche molto ponderoso. È noto che Salona fu una città che si spense alla fine del mondo antico, sparì e non si rinnovò più. Nel medioevo, il territorio di Salona, l'intero AGER salonitano, istituito nell'epoca repubblicana, si trova tra tre centri importanti che si scontrano frequentemente: Trogir (Traù), Spalato e la fortezza Klis, la quale per molto tempo restò in posesso delle famiglie nobili croate e successivamente dei Turchi. Ciò ha determinato il destino della ex cittàdi Salona – Solin e dell'intero suo territorio.
Il nome della città
Il nome dell’attuale Solin, urbonim Salona, appare in lingua latina sia al singolare Salona che al plurale Salone (-ae). La forma Salona è simile ad alcuni nomi delle città, fiumi e montagne contemporanemente esistenti quale Albona (odierna Labin), Flanona (Plomin), Aenona (Nin), Scardona (Skradin), Narona (questo nome è preservato nel nome dell’odierno fiume Norin, mentre il nome della città stessa è andato scomparso), Promona (attuale monte Promina). Tutti questi nomi derivano dai nomi illirici degli abitati, fiumi o monti. È difficile spiegare come mai l’antico nome di Solin appaia in due forme: singolare Salona e plurale Salonae. Una soluzione è stata offerta dall’archeologo Duje Rendić Miočević secondo cui la forma plurale potrebbe significare la “regione di Salona“ cio’è un territorio più vasto ove poi viene creata la città di Salona. Esiste altresì una spiegazione più recente, esposta dall’archeologo Nenad Cambi. Però, prima bisogna fare una breve digressione!
Già da tempo ci sono stati fatti molti tentativi di definire la posizione della prima colonia illirica preistorica e antica. È noto, tuttavia, che nella prima metà del I millenio a.C., forse anche prima di quell’epoca, la tribù illirica dei Delmati aveva fondato molti abitati sulle alture meno elevate lungo la fascia costiera e attorno al fiume Salon. Per analogie stabilite comparando le condizioni simili della vita e del suolo, tale abitato bisogna immaginare elevato su un’altura, ed è abbastanza difficile a determinarne la posizione esatta, fra l’altro anche a causa di mutata configurazione dell’intera area di Salona. Ivan Marović, ottimo conoscitore di quell’epoca preistorica, ritiene che “Salona” d’allora fosse situata su un’altura presso i pendici inferiori dei monti Kozjak e Mosor. Simili abitati, sopratutto le fortificazioni di tipo “gradina”, senz’altro esistevano anche altrove, verso est, sotto il passo di Klis, e verso ovest nella campagna dei Kaštela. Secondo i reperti archeologici finora ritrovati, le “gradina” fortificazioni (oppidum) si trovavano sotto Klis, vicino le sorgenti del fiume Jadro e sulle pendici delle montagne circostanti. Una di queste fortificazioni era situata sotto l’attuale fortezza di Klis, due sul giogo Markezina Greda, poi una a Klis Kosa, Ozrina, Zagradina, Sv. Jure sopra le sorgenti del fiume Jadro, ecc. Nel villagio di Uvodići, a sud est di Klis, in località chiamata Gradina (termine croato per fortificazione) si trovano i resti di epoca romana: le mura, una cisterna, un’iscrizione che celebra Giove scolpita sulla roccia nonché i solchi di ruote del carro a tiro impressi nella pietra (spurillae). Sopra il villagio di Rupotine si trova la collina Žižina Glavica mentre una struttura colonica antica e molto importante è stata recentamente ritrovata nella zona di Donja Rupotina, sul versante orientale del monte Kozjak. Ivi, sul giogo attraversato dall’antica strada Solin-Klis, si trovano, tra l’altro, anche le strutture di un ampio complesso fortificato.
Intrepretando quei resti lunghi circa un chilometro e larghi più di cento metri, estesi lungo il giogo sia al lato sinistro che al lato destro della strada, Nenad Cambi ha offerto una spiegazione interessante riguardo la forma plurale del nome della città - Salonae. Prendendo in considerazione alcune precedenti opinioni ed ipotesi, lui ritiene che si trattasse di un oppidum illirico (abitato fortificato) del 3-2 secolo a.C. che vi permase ancora a lungo dopo quel periodo. Questa ipotesi viene sostenuta dai resti di un edificio quadrato, probabilmente di un tempio, della tarda epoca repubblicana, ovvero della prima epoca imperiale. Lo stesso oppidum era cinto da cosidette mura megalitiche, costruite in grandi blocchi di pietra. Cambi ritiene che tutti quei piccoli e isolati abitati preistorici, compreso l’oppidum di Rupotine, fossero denominati di stesso nome e per questo motivo la città viene talvolta chiamata di nome al plurale Salonae. L’abitato di Rupotine sarebbe uno degli abitati situati nelle vicinanze del fiume Salon e sulle pendici delle colline circostanti. Tuttavia, un altro abitato, più vicino al mare, col passare del tempo acquistò il ruolo di capitale regionale. Quindi, c’erano state diverse Salone, gli abitati situati uno vicino all’altro, attorno al sorgente del fiume sotto Klis, sia a est che a ovest del fiume, uniti sotto lo stesso nome. Possiamo aggiungere: il nome fu preso dal fiume che scorreva nelle vicinanze. Quindi, la forma al plurale sarebbe più antica di quella al singolare.
Qui conviene, però, ribadire che il nome al plurale si fosse mantenuto per molto tempo, dato che viene menzionato nei documenti come quelli di St. Girolamo (IV-V secolo), Eutropius (seconda metà del IV secolo), Prosperus Tyro Aquitanus (circa 390- circa 426/8), Marcellinus comes (V secolo), ecc. Una risposta definitiva, comunque, sembra non sia stata ancora trovata. Accettando l’idea di Cambi, resta necessario spiegare ulteriori forme plurali del nome nonché i motivi di loro uso nelle fonti autorevoli, testi scritti dai scrittori suindicati del tardo evo romano.
L’epoca protostorica
Le qualità geografiche della zona, come già menzionato, hanno attirato la popolazione a stabilirsi qui, a scambiare i loro beni e prodotti ma anche le idee - la cultura. È assai probabile che gli stessi motivi avessero spinto i Greci e i Dalmati - Iliri e poi anche gli Itali.
Questa ipotesi sul primo insediamento e fondata, infatti, sui rari artefatti che testimoniano la presenza di uomo probabilmente già nel neolitico (recente età della pietra) e poì ininterottamente fino ai primi tempi storici, quando la città inizia a svilupparsi. Non vi sono reperti archeologici concentrati in un posto che potrebbero testimoniare di un abitato di quell’epoca. Tuttavia, nei suoi dintorni più ampi e nella zona del vicino Spalato sono state ritrovate delle evidenti prove di vita in quei primi periodi di storia dell’umanita. L’uomo visse anche nelle caverne delle montagne circostanti di Kozjak e Mosor, vicino ai passi di montagna, lungo le vie antiche (Klis), sulle isole (Brač i Hvar), ecc. L’attuale Solin, quindi, come la maggior parte delle città adriatiche, fu fondata già nei tempi preistorici.
Alcuni oggetti dell’età del Bronzo e dell’età del Ferro (gioielli e armi), ritrovati nell’area più ampia di Solin, sono di origine illirica, gli altri invece di quella greca. Questi artefatti costituiscono una forte testimonianza sui contatti commerciali stabiliti tra gli Iliri indigeni e il mondo ellenico proprio nella zona di Solin. Per esempio, il piccolo vaso di ceramica (pixida) d’origine greco-corinzia (VI secolo a.C.), decorato di motivi animali e vegetali, un orrechino in oro raffigurante Erot altresì di origine greca ritrovato a Majdan, sotto il monte Mosor (IV/II secolo a.C.). I prodotti greci penetravano nel profondo retroterra per diverse vie, compresa quella lungo il fiume Naron (odierna Neretva). Così nel sito archeologico di Glasinac presso Sarajevo si ritrovano armamenti e gioielli di origine greca, mentre nella regione di Lika si ritrovano artefatti di ambra.
Oltre a quegli scarsi reperti archeologici, solo poche fonti storiche testimoniano i contatti tra la popolazione locale e i coloni greci, sicché dall’insieme dei dati è possibile intuire i tempi preistorici di Solin.
L’epoca alquanto recente viene attestata dalle mura megalitiche, costruite in grandi blocchi di pietra, sul lato orientale della prima città presso la porta della città (>) e un enorme capitello con le teste di toro (sua importanza per la datazione delle origini della città è stata ribadita recentemente da Nenad Cambi). Il capitello poteva essere parte solamente di un edificio assai monumentale costruito nella prima metà del I secolo a.C. Esso poteva essere creato solamente in una città già formata!
Quando Salona iniziò la sua ascesa urbana, quando raggiunse il ruolo di capitale della provincia? Esiste una risposta abbastanza affidabile a questa domanda: verso la tarda epoca ellenica, nei tempi della collonizzazione greca di entrambe le sponde dell’Adriatico, croata e italiana.
Le prime testimonianze scritte sull’Adriatico si possono leggere nei testi di scrittori greci e risalgono fino ai tempi antichi. L’Adriatico viene menzionato nei miti di quell’epoca, poi dai poeti e scrittori nonché dai geografi e cronisti nei tempi di fondazione delle colonie greche sul Mediterraneo. Alla metà del I milenio a.C. gli abitanti della costa adriatica orientale venivano sempre più spesso in contatto con i mercanti e i navigatori greci che si dirigevano sopratutto verso la foce del fiume Po sulla costa Italiana. L’isola di Vis, situata nella parte centrale della costa e relativamente più vicina alla sponda occidentale italiana, rappresentava il punto ideale per la sosta durante questo lungo viaggio.
All’inizio del IV secolo vi si svolgevano gli avvenimenti che hanno fortemente influenzato il corso della storia sull’Adriatico: i Greci di Siracusa, spinti dalla politica del loro sovrano Dionisio, stabiliscono prima la colonia Issa, sul posto dell’odierna Vis, sull’isola di Vis, in una baia protetta, sulle pendici di una collina, poi Pharos, nell’odierna baia di Starigrad, sull’isola di Hvar. Allo stesso tempo vennero fondate Ancona e Numana sulla riva occidentale italiana dell’Adriatico. Issa diventò una ricca città greca, la promotrice degli interessi greci sulla costa adriatica orientale in modo che, probabilmente nel III secolo, fondò proprie città -colonie sulla terraferma: Tragurion, attuale Trogir, e Epetion, attuale Stobreč. Loro rappresentano una conferma rilevante dei contatti greci con le terre dell’Adriatico orientale, vale a dire con la popolazione illirica lungo la fascia costiera e nel retroterra dalmato. Il commercio si era notevolmente sviluppato. Nella parte centrale di questa intera regione si trovava Salona o Salonae illirica cio’è delmata. Questa non era una città greca nonostante la presenza dei Greci in città!
Salonae oppure longae Salonae, come la città fu chiamata dal poeta romano Marcus Anneus Lucanus (39-65) nel suo poema Pharsalia, nella recente epoca romana i.e. l’epoca repubblicana andarono concentrate gradualmente su un punto. Si tratta dell’abitato più vicino al mare, che lo scrittore greco Strabo (circa 64 a.C. - circa 19 d.C.) nella sua opera Geographica chiama Salona e attribuisce il ruolo di importante porto dei Delmati, i.e. di loro sbocco sul mare.
L’epoca romana
Negli ultimi secoli dell’evo antico, il territorio di Salona diventò molto interessante ai mercanti romani (italici) e quindi alla politica statale di Roma. Già da tempo Roma voleva estendere i suoi interessi economici anche nei Balcani e nel profondo e ricco entroterra illirico. Dopo la sconfitta delle forze navali della regina illirica Teuta e suo marito Agron (III secolo a.C.) nell’ Adriatico meridionale che, come i pirati di Neretva e di Omiš nei secoli successivi, avevano ostacolato il traffico tra l’Italia e la Grecia, l’incursione romana si dirige verso la Macedonia a sud e verso il Veneto a nord. Viene fondata la colonia di Acquileia, conquistata l’Istria e l’esercito raggiunge fino a Sisak (allora Segestica, Siscia). Verso la metà del II secolo a.C. incominciano scontri periodici con i Delmati che dureranno più di cento anni. Soltanto nel 27 a.C. Ottaviano sconfigge i Japodi, i Delmati e i Pannoni per annettere l’Ilyricum all’Impero. La grande provincia illirica era divisa in due: la Pannonia e la Dalmatia sicché in seguito inizia a crescere gradualmente l’importanza di Solin quale grande città della Dalmazia.
Durante questi secoli, nei territori adriatici arrivarono gli Itali e probabilmente furono già in molti (presumibilmente per lo più commercianti, marittimi e qualche artigiano) quando il comandante dell’esercito romano, console Quintus Caecilius Metellus, nel 119 a.C. decise di svernare qui con il suo esercito. Aveva bisogno, cio’è, di un posto sicuro e di abitanti amichevoli perché potesse riposare l’esercito prima delle campagne primaverili contro gli Illiri. È l’anno in cui Salona viene menzionata per la prima volta nei documenti storici scritti.
Tuttavia, occorre credere che l’influenza romana a Salona diventasse sempre più forte in seguito alle loro vittorie contro i Delmati illirici, sopratutto dopo la guerra tra Gaius Julius Caesar e Gnaeus Pompeius... Alcune battaglie decisive si sono svolte altresì sulla costa adriatica orientale. Salona si mise allora dalla parte del vincitore Caesar. Lui, invece, nella sua famosa opera De bello civili (Lib. III) menziona, tra l’altro, il frequente guerreggiare nella zona di Salona. Per la sua lealtà durante la guerra, probabilmente nel 48/47 a.C., Caesar promosse Salona nel rango di colonia romana denominandola Martia Iulia Salona. D’allora in poi iniziò il declino dell’influenza dei Greci di Issa e Salona divenne sempre più una vera città romana sia nel senso formale e urbano che nel senso culturale. In città venivano costruiti gli edifici secondo gli standard della società romana quale foro, basilica (curia), tempi, terme, teatro, anfiteatro, ecc. D’altronde, nella vita locale entravano istituzioni romane, amministrazione, norme legali, religione nonché i suoi culti che venivano intrecciati con quelli vecchi locali.
A quei tempi fu eseguita una larga divisione della campagna di Split-Solin-Kaštela che divenne cosi ager colonico e quindi una nuova popolazione si stabilì sulle parcelle fondiarie tutte uguali, cosidette centuriae. Tali parcelle fondiarie della stessa superficie, situate nelle aree recentemente conquistate ed annesse all’Impero, venivano assegnate dallo stato romano sia ai legionari veterani che agli agricoltori creando così grandi colonie veterane o agrarie. Questo territorio fu popolato altresì da molti nuovi immigranti. È certo che la penisola di Split e i dintorni di Salona erano altrettanto abitati: le zone verso est e verso ovest. Loro costituivano il territorio dell’ager della colonia di Salona (Colonia Martia Iulia Salona).
Ai tempi dei primi imperatori, Augusto (27 a.C. - 14 d.C.) e in particolare Tiberius (14-37) con il suo prefetto per l’Ilyricum Publius Cornelius Dolabella (14-20), furono costruite diverse strade importanti attraverso tutta la regione pacificata e assoggettata. Alcune portavano da Salona, attraversando Klis, verso il retroterra: una a Anderium (odierna Muæ) per proseguire verso ovest. L’altra conduceva per Tilurium (Trilj), attraverso il fiume Cetina e, proseguendo verso est, portava a Narona (odierna Vid vicino Metković) e verso la Bosnia centrale. La terza invece passava vicino a Sinj proseguire verso la colonia Aequum (Čitluk) e più a nord verso la Pannonia. Due strade portavano lungo la costa: una a Trogir e l’altra a Stobreč, nella zona sotto il monte Mosor, e poi verso est. Inoltre, furono costruite alcune strade locali che collegavano gli insediamenti situati nel più o meno vicino entroterra. Questo altresì aveva spinto Salona a svilupparsi, nei secoli seguenti di pace, in una città grande e importante. Un ruolo inconstestabile nello sviluppo della città aveva il suo porto, ove giungevano i marinai che viaggiavano lungo l’Adriatico, arrivando sia dalla parte occidentale che dalla parte orientale del Mediterraneo.
La prima città
Questa prima città, o più precisamente il nucleo della futura Salona, si trovava sulla costa. Ivi, vicino al mare, per lo più nel porto, si verificavano i primi contatti commerciali ed altri tra Greci (di Issa-Vis) e Delmati indigeni. Salona divenne luogo d’incontro tra commercianti e naviganti del Mediterraneo con la popolazione indigena, commerciando in armi, gioielli, vasi di ceramica, ecc. Scambiavano questi prodotti per le pelli, il bestiame, il cibo e, probabilmente, per il formaggio caprino e pecorino chiamato caesus delmaticus. I primi contatti e i rapporti commerciali sono testimoniati, per esempio, dagli alcuni resti di ceramica ellenica (3-2 secolo) ritrovati nel sito del foro civico e nella località chiamata Manastirine.
Ce ne sono state molte discussioni scientifiche sulla prima città, il suo nucleo e la sua struttura. L’archeologo danese E. Dyggve la nominò in maniera pittoresca urbs vetus, poi urbs antiqua e urbs graeca. Duje Rendić Miočević la chiamò urbs quadrata sul modello di Roma di Romulus. Dyggve chiamò le sue aggiunte occidentali urbs occidentalis e quelle orientali urbs orientalis. Tutti quei nomi hanno, però, un carattere simbolico e storicamente dubbio, e venivano imposti sopratutto per le ragioni pratiche, redendo così più chiare diverse affermazioni storiograficamente, archeologicamente e altrimenti insufficientemente argomentate. Pertanto non ci si deve prestare particolare attenzione in qualsiasi interpretazione sistematica (scientifica) dei fatti archeologici. È assai più importante, però altrattanto più difficile, spiegare le relazioni tra le popolazioni illiriche, greche e italiche, loro triplice coesistenza, la coesistenza di tre popoli integrati dalla città. La città che, del resto, con i suoi nomi (Salona e Salonae, Solin e Solini), nonché con il suo stato urbano (oppidum civium Romanorum, anche conventus Salonarum, quindi con il suo nome al plurale) offre ancora tanti indovinelli agli scienziati. Vale a dire, ogni interpretazione degli avvenimenti remoti lascia qualcosa di scoperto e irresoluto dalle cognizioni esistenti. Però, cio non significa che non siano desiderabili le risoluzioni prossime a quella definitiva. Comunque, l’età imperiale romana che sussegue la creazione della città, fondata nell’ultimo secolo dell’evo antico, porre meno dubbi. I monumenti storici di quell’epoca rendono più evidenti gli avvenimenti collocati nell’oscura cornice dei tempi protostorici. Uno di questi monumenti è, per esempio, gravemente danneggiata, però importante iscrizione ritrovata a Salona, cosidetto rescritto di Salona, ove Gaius Julius Caesar nel 56 a.C., quale prefetto della Gallia e dell’Illyricum prese sotto la protezione i Greci di Salona minacciati dalla popolazione itala sempre più numerosa e potente in città.
La forma urbis
La parte più antica della città, figuratamente nominata - come già menzionato - urbs ventus oppure quadrata o antiqua o graeca i.e. la parte della città nei pressi del porto, col tempo ottiene una grande importanza, diventando il vero centro della città. La città fu fortificata; nella prima età imperiale e un po’ più tardi (prima metà del I secolo d.C.) venne formata la piazza centrale della città che presto diventò foro. Furono eretti gli edifici del foro (capitolium con i tempi, curia), alquanto più a sud il teatro e non troppo lontano, verso ovest, l’anfiteatro. In quel periodo Salona era in posizione di diventare centro amministrativo della provincia illirica. La prima città, centro di quella Salona grande nei secoli che seguono, aveva la forma trapezoidale ed era cinta da mura. Quelle mura in alcuni punti sono ancora visibili. Una parte dei loro resti si trova presso i ruderi della monumentale porta della città, cosidetta Porta Caesarea: una torre quadrangolare e le mura adiacenti. Queste mura si estendevano molto probabilmente verso sud fino al mare, proteggendo il porto. Vale a dire, il porto era assai probabilmente protetto dalle mura da una e dall’altra parte della terraferma: orientale e occidentale. Tuttavia, dalle mura occidentali non è stata ancora trovata nessuna traccia.
In questa prima città c’erano due strade principali, la cui posizione è stata rilevata con sufficiente certezza: una era diretta est-ovest (decumanus), l’altra nord-sud (cardo). Loro erano presumibilmente di origine preistorica ed avevano condizionato la formazione dell’abitato in cui erano incorporate. Salona, cio’è, non è una città pianificata; è una città sviluppata dalla situazione eredittata. Quindi, ogni sua estensione, particolarmente quella alla fine del I e nel corso del II secolo, di solito si svolgeva utilizzando dei teritori adiacenti: prima lungo la strada che portava dalla città verso ovest e verso est.
Per questo motivo la città distrusse già esistenti cimiteri civici lungo queste strade e così acquistò una forma irregolare. Sulle aggiunte, a quell’epoca altrettanto cinte da mura, furono costruite alcune porte secondarie piu poccole nella parte settentrionale, nord-orientale e occidentale. Alcune erano nominate dagli archeologi: Porta suburbia (suburbana, secondaria), Porta Andetria (portano verso Muć, allora Andetrium) e Porta capraria (Porta di capra, conducono nella campagna).... Questi nomi furono scelti in accordanza coi nomi delle porte principali: Porta Caesarea e Porta Graeca.
Siccome nella prima età imperiale non era necessario fortificare la città, poiché allora era in vigore la cosidetta pax romana (pace nell’ intero Impero), questo venne fatto soltanto nella seconda metà del II secolo, all’epoca di Marcus Aurelius (121-180). A quell’epoca, durante la guerra marcomannica (166-180), si verifico verso il 170 un pericolo di infiltrazione delle tribù germaniche di Quadi marcomanni più profondamente nell’Impero. Il pericolo si intuiva anche in questi territori e la città venne recinta da mura. Una splendida testimonianza di questo lavoro sono iscrizioni scolpite sulle tavole di pietra e murate nell’esterno muro settentrionale vicino alla cosidetta Porta Andetria. Le mura cittadine venivano aggiunte, rinnovate e rafforzate di nuovo durante il V secolo, quando Salona fu minacciata dagli Unni e dai Goti, e successivamente ai tempi della conquista della Dalmazia da parte di Iustiniano nel VI secolo.
Il periodo di particolare prosperità nella storia di Salona fu dalla seconda metà del III secolo fino ai tempi dell’Imperatore Diocleziano (284-305). Si crede che lui fosse nativo di queste zone e per questo motivo facesse erigere il suo famoso palazzo nelle vicinanze di Salona. Indubbiamente anche Salona aveva tratto dei profitti da questa enorme impresa edile. Diocleziano fu insigne riformatore dell’amministrazione statale nell’Impero. Lui introdusse la cosidetta tetrarchia, cio’è il governo dei quattro: due August e due Caesar, di cui quei ultimi succedevano i primi al trono imperiale. Con tali misure di decentramento lui aveva consolidato il potere di alcune regioni, mentre costruendo il palazzo nei pressi di Salona aveva probabilmente, almeno indirettamente, aiutato la città a diventare punto focale di un vasto territorio. A quei tempi Salona ottenne il titolo onorario di Valeria che sarebbe il nome gentilizio dell’Imperatore, nome di famiglia. La sua presenza nel palazzo, ove trascorse un intero decennio, aveva certamente influenzato la vita della città.
Si crede che dopo Diocleziano a Salona nonché nel palazzo, che divenne una proprietà statale, avessero dimora temporanea gli imperatori e membri delle loro famiglie: Galla Placidia, suo figlio Imperatore Valentinian III, poi Glicerius. Nel 461 il patrizio di Salona, Arcellinus, si proclamò re di Dalmazia, suo figlio (nipote) Julius Nepos si mantenne al potere imperiale fino al 480 quando fu ucciso “nella sua dimora estiva” vicino a Salona (un cronista scrisse: villa, che si riferisce presumbilmente al palazzo di Diocleziano spesso chiamato così). Così, formalmente, sopravvisse all’Impero romano d’Occidente che fu disfatto nel 476 dal re gotico Odoacre. In questa manniera Salona prese parte a un importante evento della storia universale. A quell’epoca la città, naturalmente, aveva una struttura urbana e standard richiesto dallo stato e dall’elite ecclesiastica.
Quanti abitanti aveva Salona al suo apice?
A questo si può rispondere solamente in maniera approssimativa, giusto per soddisfare la curosità evidente dalla domanda frequentemente posta, piena di nostalgia locale che vorebbe rendere la città ancora più grande e potente. Tutti i criteri che potrebbero essere applicati per determinarlo sono assai infondati. Venivano menzionati i numeri da 40.000 fino a 60.000 abitanti calcolati secondo presunti posti a sedere nell’anfiteatro di Salona, rendimento dell’acquedotto, ampiezza dell’area clinta di mura (circa 500 ettari), ecc. Si ritiene che questi numeri siano troppo esegerati. Il numero dei posti a sedere nell’anfiteatro, per esempio, non significa che gli spettacoli fossero visitati solamente dagli abitanti di Salona! Ci assistevano, come agli avvenimenti sportivi oggi, gli abitanti dei villaggi e delle zone adiacenti. Si ritiene che nella città stessa potesse abitare al massimo da quindici a venti mila abitanti, e nell’area circostante, compreso l’intero ager di Salona, cio’è dall’attuale Podstrana a est fino a Trogir, compresa la penisola di Split, forse ancora un po’ di meno.
Salona - Spalatum
Circa cinque chilometri a sud dalla prima Salona italo-greca e da Salonae illirica , in una baia protetta, si trovava l’abitato di Spalatum. Era marcato sull’antica carta geografica nota come Tabula Peutingeriana. La tabula fu molto probabilmente fatta nel IV o V secolo d.C. Sulla carta, che infatti rapppresenta una mappa stradale dell’Impero romano, nela zona più ampia dell’attuale città di Split, sono segnati e donominati Tragurium (Trogir), abitato Siclis - Siculi (già menzionata località di Bijaći, sul margine orientale della campagna di Trogir e Kaštela), colonie Salona e Epetion (attuale Stobreè). Il palazzo imperiale non era marcato e ciò conferma l’antichità dell’originale su cui modello la Peutingeriana fu fatta. Già prima del definitivo assoggettamento dell’Illiria e delle sue popolazioni a Roma, ai tempi di Gauis Julius Caesar (circa 101-44 a.C.), nell’odierna campagna di Split, Solin e Kaštela fu eseguita, come già menzionato, una divisione in cosidette centuriae. La divisione è ancora evidente su molti punti nella campagna di Kaštela, poi dall’asse di alcune strade di Split come p.e. Zrinjsko-Frankopanska, Vukovarska, Zvonimirova, Poljička, Matije Gupca, ecc. Inoltre, vi sono molti sentieri più piccoli e più brevi che si riconoscono nella fitta rete locale come antica divisione catastale romana. Fino alla II guera mondiale i resti dell’antica divisione spaziale-catastale erano ancora più visibili nel paesaggio insieme a moltissimi e più svariati reperti archeologici, da edifici a cimiteri, che confermano la densità di popolazione in quest’area.
Il porto di Salona
L’orientamento di Salona verso il mare e verso il commercio con il retroterra non rappresenta nessuna eccezione quando si tratta di città costiere. Una cosa simile succedeva anche altrove lungo la costa adriatica orientale, per esempio a Narona. In questo senso marinaro, a causa di alcuni avvenimenti storici, Salona ereditò Issa che nell’epoca greca fu destinata a questo ruolo, in quanto situata nell’arcipelago dell’Adriatico centrale. Però, essendo città insulare, Issa non disponeva di comunicazioni stradali con il profondo continente balcanico... Questo era molto importante per gli obiettivi economici e politici di Roma. Vale a dire, ai rapporti commerciali greci con la vicina terraterma bastavano due centri mercantili, gli abitati di Trogir e Stobreč fondati dai Greci di Issa nonché, certamente, il porto di Salona.
Il porto stesso, situato nella parte orientale della baia protetta, influì notevolmente sullo sviluppo della città. Innanzitutto per quanto riguarda il commercio e dopo, specialmente nei secoli successivi, per scambiare o incontrare la gente, le idee, le religioni. Le tracce di questa vita sono assai ricche, rese evidenti dagli reperti archeologici, per lo più oggetti di uso quotidiano, cultura religiosa, iscrizioni, nomi delle persone e luoghi di lori nascita riportati sulle pietre tombali. Il numero così grande di reperti rende più chiara anche la vita spirituale degli abitanti di Salona, sopratutto quando si tratta di poesia sepolcrale, compresa quella d’ispirazione cristiana.
È ancora difficile stabilire dove si trovavano le strutture principali, ormeggi, arsenali, depositi del porto di Solin. Alcune di esse erano, per esempio, nella parte di Vranjic, ove sono oggi i grandi serbatoi di petrolio! Nella parte settentrionale, quella di Salona, si trovavano i magazzini, scavati nel 1986-88. Però, possiamo ritenere con molta certezza che esistessero anche altrove: nella parte orientale, a ridosso della foce del fiume il cui delta a quell’epoca era molto differente di quella attuale. Il fiume Salon sboccava nel mare diversamente di come lo fa oggi e scorreva, questo non va dimenticato, anche attraverso la parte orientale della città.
Il porto di Solin, lo chiameremo di nome slavo della città quando si tratta di epoca più recente, era economicamente importante anche nell’Medioevo. È assai probabile che fosse usato dai signori di Klis per raggiungere il mare. Questo viene testimoniato da un documento del 1171 che, tra gli altri nobili, menziona anche Vilcodrug nauclueus Clissae - Vukodrag - commandante di una nave di Klis. Più tardi, particolarmente ai tempi di Petar Kružić, capitano e principe di Klis, e il suo guerreggiare con i Turchi, il porto aveva un ruolo importante nel rifornimento delle truppe nella fortezza di Solin (Gradina, >) e a Klis. Lo stesso Kružić fu ucciso nella battaglia svoltasi nel porto di Solin quando sua nave, sopraccarica di fuggiaschi, si arenò e quindi non potè partire e sfuggire ai Turchi.
Frane Božičević Natalis (1469-1542), coevo di Petar Kružić e amico di poeta croato Marko Marulić, così aveva descritto il porto di Salona: ”Sotto la città di Klis c’è un porto che puo accogliere tutte le navi del mondo. Dentro ci sono le navi, e le isole rinchiudono e calmano il mare minacciante. Qui non c’è bisogno delle corde intrecciate ne delle ancore di braccia piegate per ormeggiare le navi. Vicino al porto si trova la foce del fiume ove il Jader tranquillamente sbocca nel mare. Se questa terra fosse conquistata dai Turchi, avreste i barbari in mezzo al Lazio (Roma)”. Questo e altri simili gridi di aiuto diretti ai coevi in Europa e a Papa in Roma non ebbero alcuna risposta, l’indifferenza della mente e dello spirito rinascimentale rimase fredda alle suppliche di quelli minacciati. Nessuno aveva sentito con cuore la sorte di questa terra e del suo protettore, il capitano Petar Kružić.
Il cristianesimo a Salona
A Salona come nelle altre città del Mediterraneo non si trovano gli artefatti archeologici d’impronta cristiana prima della fine del III secolo. Si pore quindi una domanda: quando apparse per la prima volta in questa città e in Dalmazia una nuova religione, che predicava la salvezza? Molti scienziati hanno offerto le loro risposte, da Frane Bulić più di un secolo fa a B. Gabričević e N. Cambi, nonché distinti stranieri J. Zeiller o H. Delehaye a E. Dyggve ed altri. Le opinioni di quelli più anziani possono essere completate, sopratutto in seguito alle nuove cognizioni ottenute nel corso di un lungo periodo di tempo, però non possono essere sostanzialmente modificate. Con qualche supplemento personale, il corso andrebbe esposto come segue.
Non c’è dubbio che a Salona nella seconda metà del III secolo, come nelle altre grandi città lungo il Mediterraneo, furono attivi gli interpreti di varie religioni e culti orientali. Tra gli altri vi erano anche i predicatori di fede cristiana. Dal III secolo questa religione aveva gradualmente ottenuto sempre più seguaci. I forestieri, venuti dai paesi del bacino mediterraneo, dalle coste orientali dell’odierna Turchia, attraverso la Giordania, l’Israele, l’Egitto, la Nord Africa e la Spagna appartenevano alle varie professioni e stili di vita. Erano commercianti, viaggiatori, artigiani, schiavi, soldati e maestri. Tra di loro furono anche gli interpreti di culti orientali come quello di Mitra, Iside, Atis, Kibela, ecc. La presenza dei predicatori cristiani tra questa folla variopinta è comprensibile.
Però, che cosa dicono le fonti storiche?
Nella sua epistola ai Romani, S.Paolo scrisse: “Così da Gerusalemme e attorno, fino all’Illyricum ho completamente adempito al proprio dovere di predicare il catechismo di Cristo. La mia aspirazione era sempre a predicare il catechismo ove Cristo era sconosciuto, affinché non costruissi sulle fondamenta altrui”. (Romani 15:19). Dagli altri testi di Paolo possiamo percepire che, durante il suo terzo viaggio attraverso il Mediterraneo orientale, lui ha toccato i confini dell’Illyricum (parte occidentale dei Balcani).
Indirettamente, si puo concludere che alcuni seguaci di Paolo avessero visitato (e predicato li?) la Dalmazia. Vale a dire, nella sua epistola a Timoteo scritta a Roma nel 67, Paolo invitò Timoteo a raggiungerlo in quella città poiché gli altri suoi discepoli furono andati in vari paesi, e “Titus in Dalmazia” (2 Timoteo 4:10).
Da questi scarsi dati, gli unici che abbiamo, possiamo concludere che le prime missioni cristiane avessero toccato l’Illyricum, ma non se ne puo dire di più. In quei tempi remoti, nel primo e nel secondo secolo d.C. né sull’Adriatico orientale né nel profondo continente non esistevano gli centri commerciali di rilievo. Non ci furono nemmeno i nodi stradali di carattere cosmopolita affinché la gente e le idee potessero confluire e ove nuovi pensieri e nuove dottrine potessero apparire per essere riconosciute. Quasi intero Illyricum, compresa la Dalmazia, non attirava nessun interesse dei predicatori cristiani.
Le prime informazioni sicure sulla fede cristiana in questi territori risalgono alla seconda metà del III secolo, diventano più numerose verso la fine dello stesso secolo e all’inizio del IV secolo, l’epoca delle persecuzioni ordinate da Diocleziano. Naturalmente, non si può escludere che già prima della seconda metà del terzo secolo i cristiani fossero presenti a Salona, mischiati con i pagani in un mondo tollerante per lungo tempo, forse addiritura come credenti radunati nelle locali comunità cristiane. Di questo, però, ci mancano le evidenze sia a Salona che negli altri paesi dell’Mediterraneo. Pochi simboli e segni cristiani non attestano la presenza di una comunità formata e organizzata come quelle che abitualmente venivano fondate nelle città dai seguaci di Cristo. A testa di tali comunità si trovavano episcopi (capi, sorveglianti), assistiti dai presbiteriani (superiori) e diaconi (inservienti). Questa struttura si era formata sopratutto nel periodo delle prime persecuzioni sicché il predicare la dottrina di Cristo divenne espressione della resistenza e del dispetto, mentre il sacrificio personale rappresentava la dichiarazione di lealtà e fede. Assistere ai prossimi, amore e compresione, compassione e beneficienza erano di particolare importanza. Questi principi fondamentali avevano grande importanza nella vita municipale. Più tardi, un posto di particolare stima aveva il vescovo della capitale della provincia - metropolita, per esempio il metropolita di Dalmazia a Salona. Questi ed altri prelati formarono gradualmente una gerarchia potente e ricca, un’enorme potenza morale e materiale sulla quale vennero fondati e strutturati molti secoli medievali. L’ultima onda di persecuzioni colpì altresi le comunità in Dalmazia e nelle altre parti dell’Illyricum. Salona, in quanto la capitale della provincia, fu la città più attraente per i predicatori quindi le persecuzioni vi furono assai numerose e registrate sia nella letteratura storica che nella tradizione locale. Così, tra i primi propugnatori di dottrina cristiana che conosciamo fu Venantius, che sembra fosse mandato da Roma per predicare in Dalmazia e in Pannonia. Secondo le indagini scientifiche fu il primo vescovo di Salona ai tempi dell’Imperatore Valeriano (253-260). È possibile che lui avesse predicato a Narona, un’altra città portuale importante sulla costa adriatica orientale, ben collegata con il retroterra. Sebbene di Venanzio si sapesse ben poco, forse perché fu trascurato dalla storiografia ecclesiastica che voleva affermare l’apostolato della chiesa di Split e anteporrla alle altre, innanzitutto a quella di Zadar, lui fu uno dei più importanti catechisti in questi paesi. Ai tempi di Valerianus la nova religione fu praticata liberamente, e soltanto verso la fine del suo governo iniziarono le persecuzioni. Probabilmente allora anche Venantius fu ucciso (circa 257-260) in una delle prime persecuzioni di cristiani dalmati.
I predicatori cristiani in queste regioni avevano sofferto specialmente durante le persecuzioni ordinate da Diocleziano. Tra le sue vittime furono Domnio, Anastasius, il prete Asterius, il diacono Septimius e quattro soldati della guardia di Diocleziano, Antiohie, Gaian, Paulinian e Telie. Domnio - oggi noto come S. Dujam, patrono della città di Split, a capo di questi martiri, e, ovviamente, altresì di comunità cristiana di Salona, fu, secondo la legenda, proveniente di Antiohia in Siria.
Nell’intero Impero romano la religione cristiana si affermò, ottennendo il suo riconoscimento e diritto di professione con l’Editto di tolleranza religiosa dell’Imperatore Gallerie, nel 311. Più tardi, nel 313, ancora di più, con il rescritto degli imperatori Costantino e Licinius, noto come l’Editto milanese di tolleranza: un commento sulle questioni concernenti lo stato dei cristiani nell’Impero scritto dagli imperatori. L’editto riconobbe ai cristiani piena eguaglianza rispetto alle altre religioni.
L’adorazione dei martiri in quei tempi fu sempre più praticata, come evidenziano numerosi monumenti dedicati alla memoria, eretti sulle loro tombe - da cappelle a cattedrali. A Salona se ne trovano degli ottimi esemplari.
Diventando ufficiale religione statale, il cristianesimo non aveva ancora a lungo completamente cancellato il vecchio mondo spirituale pagano; esso rimase nella memoria e nella coscienza del popolo, adesso cristiano. Un bel esemplare di tale connubio di idee e fedi rappresenta il portale della porta di Solin, denominata Porta Caesarea. Fatto nel periodo in cui il cristianesimo era già affermato nella città, il bassorilievo rappresenta la dea pagana Tyche che, portando in mani bandiera e i simboli di prosperità, raffigura la felice e ricca città di Salona. Un simile connubio tra paganesimo e cristianesimo è evidente anche nei cimiteri, ove le tombe venivano spesso mischiate, oppure quelle cristiane venivano deposte sopra gli strati delle tombe pagane più antiche (nella necropoli occidentale, cosidetta Hortus Metrodori, per esempio).
La città cristiana venne formata per la maggior parte attorno alla sede vescovile, e a Salona altresì a ridosso del primo oratorio che fu creato, presumibilmente, di nascosto in una casa privata. Nelle vicinanze, a metà del IV secolo vi fu eretta una chiesa che, col passare dei decenni e secoli successivi, divenne un grande complesso basilicale con due basiliche, battistero e palazzo vescovile.
Il dominio gotico e rinnovamento di Justiniano
Verso la fine dell’evo antico, l’esercito romano guerreggiava lungo i confini occidentali dell’Impero, conquistando le terre popolate dai Galli (odierna Francia), dai Germani (odierna Germania) e dagli Iliri (odierni Balcani occidentali). Alcuni secoli dopo, accadde l’opposto: i popoli germanici, compresi gli Ostrogoti, attaccarono l’Impero indebolito infiltrandosi nei suoi territori. I condottieri imperiali fecero molte guerre contro di loro, una di quelle nota come la Guerra gotica.
In quei tempi, nella prima metà del VI secolo, all’epoca dell’Imperatore Justiniano (527-565), Salona fu centro degli avvenimenti quale importante caposaldo sia dell’esercito gotico sia quello dell’Imperatore. Quando fece espellere i Goti da questo territorio, territorio di Salona, l’esercito romano prima conquistò la fortezza (castrum) di Klis, come fu descritto dallo storico e cronista Procipius di Caesarea (prima metà del VI secolo) nella sua opera “La guerra gotica”. Esendo entrato nella città, il generale bizantino Constantian restaurò le mura cittadine e sulle esistenti torri quadrangolari fece costrure le cuspidi triangolari, come richiedevano le tattiche difensive dell’epoca. Le aggiunte si sono finora conservate e sono visibili nella parte settentrionale del cimitero Manastirine. Belisarius, il famoso condottiero di Justiniano, e il suo esercito durante la guerra contro gli Ostrogoti nel 545 passarono l’inverno a Salona. Più tardi, la Dalmazia fu governata dal proconsole, oppure dal prefetto imperiale, il cui sede molto probabilmente fu a Salona.
La fine del VI secolo riporta nuovi pericoli ma altresì una diminuzione dell’interesse dell’Impero per queste regioni. Fu, infatti, assai più importante difendere Costantinopoli. Tuttavia, quando gli Avari, nel 582 conquistarono estremamente importante città e crocevia di Sirmium, si verificò una graduale colonizzazione di territori nelle zone orientali e occidentali dei Balcani. La parte balcanica dello stato allora fu difesa molto male poiché il forte dell’esercito imperiale venne impegnato nele querre contro i Persiani. La conquista di Sirmium aprì ai “barbari” la via verso le parti centrali dei Balcani (Illyricum), verso l’attuale Bosnia e, in seguito, verso la Dalmazia.
La prima caduta di Salona
Di molte fonti storiche che, in vari modi, descrivono gli ultimi decenni di Salona, alcune sono di particolare importanza: la corrispondenza del Papa Gregorio il Grande (590-604) con gli arcivescovi di Salona, specialmente con Maxim; la Storia di Salona (Historia Salonitana) di arcidiacono di Split, Toma, (1200-1268); la Storia maggiore di Salona (Historia Salonitana maior), l’opera di un autore sconosciuto, probabilmente risalente al XVI secolo, ove vengono combinati il manoscritto di Toma ed alcune altre fonti scritte; e Del governare l’impero (De administrando impero), l’opera dell’Imperatore bizantino Constantino Porfirogeneto (913-957). Testi citati contengono le informazioni che sono accettabili e corrette, poi quelle che oggi sono comprensibili, però alcune suscitano dubbi e sono argomento di una continua disputa storiografica.
Contrariamente agli storici, che cercano di stabilire una data più precisa possibile della “caduta” di Solin, vale a dire della sua presunta conquista dalla parte degli Avari e degli Slavi, si ritiene che la caduta di Solin vada contemplata quale processo di degrado di una vasta zona nonché di graduale abbandono della città. Il pericolo incombente costrinse gli abitanti di Salona di lasciare la loro città e di trasferirsi nel vicino palazzo di Diocleziano, ove fondarono una nuova città, Split (Spalatum), che divenne successore di Salona romana, oppure sulle isole adiacenti ove potevano sopravivere. Alcuni probabilmente rimasero a vivere nelle tenute modeste e isolate, come succedeva nell’intero territorio europeo che allora veniva insediato dai nuovi popoli: la Nord Italia fu colonizzata dai Longobardi, la Francia fu colonizzata dai Franchi germanici e la Spagna venne conquistata dai Visigoti. Abbandonato dal popolo e isolato, in quanto un’importante via di comunicazione sull’asse mare-costa-retroterra fu interrotta, il territorio di Salona perdette i suoi precedenti valori e significato diventando completamente rurale. Gli immigranti non portarono i nuovi valori, bensì ereditarono e, come altrove nel mondo d’allora, accettarono alcuni valori del ricco patrimonio romano. Con questo connubio, formato durante un lungo periodo di tempo, il territorio di Salona entrò nel Medioevo. A quanto pare, influenzato notevolmente dalla chiesa di Salona che trasferì le sue ingerenze, almeno in parte, nella vicina Spalatum.
L’arrivo dei Croati
Tutti i conquistatori che all’inizio del Medioevo attacarono la parte europea dell’Impero ebbero come obiettivo sia le città per il bottino di guerra sia i territori per la colonizzazione. Così, per esempio, i Vandali saccheggiarono Roma, i Goti conquistarono Ravenna, i Longobardi conquistarono Milano e Pavia, gli Avari conquistarono Sirmium e gli Slavi - Salona. Davanti al pericolo incombente gli abitanti di Salona lasciarono la città e diventarono profughi. Come scrisse l’arcidiacono spalatino Toma, loro andarono sulle vicine isole oppure nel palazzo di Diocleziano per non ritornare mai più nella zona della loro città. Così la nuova città di Split nacque sulle rovine di quell’altra. Di seguito venne eseguita una divisione politica dell’ager di Salona, poiché sul territorio della già metropoli vennero costituite due organizzazioni politiche: lo stato croato e la città di Spalatum con una piccola area circostante che a lungo fece parte del territorio bizantino sull’Adriatico, similmente a Rausij (Dubrovnik), Tragurij (Trogir), Iader (Zadar) e città sulle isole di Krk, Cres e Rab.
Ancora oggi si verificano dispute scientifiche riguardo il periodo in cui gli Slavi arrivano nei territori ove formano loro stato dell’alto Medioevo. Precisamente, nel triangolo della terra tra i fiumi Zrmanja e Cetina e la costa adriatica, sul territorio della Dalmazia centrale con tre centri importanti: Nin, Knin e Solin. Esistono pocchissime fonti storiche sicure che evidenziano questa immigrazione di cui, però, si discutte già da più di un secolo.
Secondo una tesi scientifica, i Croati arrivarono alcuni anni dopo la prima incursione degli Slavi e Avari, cio’è nella prima metà del VII secolo, secondo l’altra tesi invece, assai più plausibile, verso l’800. Si insediarono attorno alla città romana di Salona, a est lungo il fiume Salon e a ovest fino a Trogir. Colonizzarono le terre rimaste “senza padrone”, ovvero le terre dei proprietari sfuggiti, poi i terreni appartenenti alla chiesa di Salona, i terreni statali, ecc. Avendo colonizzato la zona, acquisirono il modo tradizionale di coltivazione e iniziarono una vita stabile nell’inevitabile simbiosi con pochi indigeni rimanenti. La stessa situazione si verificò in tutto il mondo di quell’epoca.
Gli immigrati croati e gli indigeni, ovvero la popolazione di Salona rifugiatasi nella villa di Diocleziano - abitanti di Spalatum, rissolsero i loro problemi principali in accordo con il governo imperiale di Costantinopoli: gli indigeni legalizzarono il loro soggiorno nella dimora dell’Imperatore diventata proprietà statale, i Croati ottennero il diritto di restare sui terreni colonizzati. Venne definito il confine! Da Costantinopoli arrivarono le istruzioni, in forma di ordini imperiali ai capi dei Goti e dei Slavi (come riportato da Toma e sembra fosse abbastanza esatto ovvero almeno probabile) di consentire agli abitanti di Split di vivere nella città, in conformità ai loro vecchi diritti, di usufruirsi di territori della loro città di Salona. La storia ritiene che allora fosse costituito il confine fra il territorio di Split e quello controllato dai Croati coloni. Si estendeva, come dimostrò L. Katić, da Vranjic, lungo il fiume Salon proseguendo verso nordest, Purtroppo, non è possibile stabilire con l’esatezza quando fosse concordato, sebbene si ritiene che le relazioni tra indigeni e immigrati fossero buone subito dopo l’arrivo dei Croati nella Dalmazia centrale. È certo che la delimitazione esisteva nei tempi della costituzione del potere locale croato, probabilmente a metà del IX secolo, dopo l’instaurazione dei rapporti tra lo stato dei Franchi e l’Impero romano d’Oriente con la famosa pace di Aachen nell’812, un evento di massima importanza per tutti i territori croati.
L’accogliamento dell’eredità locale
Arrivando in queste regioni, i Croati, come tutti i popoli che andarono sistemandosi nell’Europa, cercavano un territorio adatto ove condurre una vita sistematica e organizzata. Una località così favorevole trovarono appunto tra il territorio municipale di Trogir e il fiume Žrnovnica, e più verso est lungo il mare e dietro il monte Mosor, cio’è nella zona di Solin, attuale campagna di Kaštela, Solin e, fino a poco tempo fa, Split. Quell’ultimo venne trasformato recentemente in area urbana di Split. Inoltre, fu compreso il territorio di Poljica, verso Srinjine, Tugare e Gata, villagi menzionati nei documenti che risalgono all’anno 1000 e nel Cartolare dell’XI secolo custodito nel monastero di S. Pietro a Selo (Jesenice), Questa regione è di una configurazione geografica eterogenea: ci si trovano terre fertili, boschi, acque, pendici soleggiati, clima molto mite e tutto ciò ha atiratto i forestieri. Ovviamente, vi è anche il mare con il porto di Salona, conveniente per il commercio con l’entroterra.
Una grande importanza aveva altresì la secolaria eredità culturale nonché il patrimonio della chiesa cattolica che in Dalmazia, e sopratutto a Salona, già verso la fine del V secolo fu ben strutturata. Cosi i Croati vennero integrati in quel mondo antico apportando certi elementi della propria tradizione, conservandone, preservandone e svilupandone la parte più importante - la loro lingua! Lo stesso non accadde ai popoli germanici: né ai Franchi o altri immigrati in Gallia (odierna Francia), né ai Visigoti in Spagna, né ai Longobardi in Nord Italia. Loro tutti accolsero la lingua della popolazione indigena romanizzata.
Giunti e insediati nelle zone ai piedi dei monti Kozjak e Mosor, i Croati formarono tre centri evidenziati sia dai documenti storici sia dalle testimonianze materiali: in odierni Bijaći, a Klis con una parte del territorio di Salona lungo il fiume Salon e a Podstrana - curtis sancti Martini. Il primo viene evidenziato dall’archeologia (frammenti della balaustra dell’altare con il nome del prete Jumpiest), il documento di donazione del principe croato Trpimir rilasciato in loco qui dicitur Byaci nell’852; dell’altro testimonia il prete sassone Gottschalk che soggiornava da principe Trpimir intorno all’846-848, e del terzo l’accordo tra il doge di Venezia Pietro Trondonico e il principe croato Mislav intorno all’839, come riportato dal cronista veneziano Iohanes Diaconus.
I grandi secoli della storia croata
Il nono e il decimo secolo sono epoca in cui viene formata la Croazia medievale. Essa sussisteva quale unione delle comuni autonome, riunite dall’origine, lingua, capi, condizioni della vita, tradizione e infine, dopo la sua adozione nel IX secolo, fede cristiana. I secoli citati ci hanno offerto alcune splendide attestazioni di presenza croata nella nuova patria, sia attraverso i reperti materiali, gli edifici eretti in quei tempi ossia attraverso l’opera di alcuni eminenti Croati.
Ai regnanti medievali piaceva risiedere in una determinata zona, di paesaggio piuttosto affine. È difficile dire quale fossero ragioni di tale comportamento, però quelli economici probabilmente furono assai importanti. Così, come già menzionato, il principe Mislav fu legato all’area di Solin e Kaštela nonché a Podstrana, Trpimir a Klis, la regina Elena, e forse anche il re Zvonimir, a Solin (sarcofago della regina e incoronamento del re in questa città), ecc. Ivi, ovviamente, vengono menzionati solo quelli che, per quanto ne sappiamo, erano legati direttamente all’area di Solin e il cui attività in questi territori viene notevolmente documentata.
Un interessante e prezioso dato storico della prima metà del IX secolo riporta un aneddoto legato al principe Mislav e descrive un avvenimento accaduto nei pressi di Salona, a Podstrana. Poiché a quell’epoca, come viene di solito sostenuto nella storiografia, i pirati Slavi, vale a dire Croati, dal fiume Neretva arrecavano considerevoli danni al commercio marittimo che allora si svolgeva proprio lungo la costa orientale dell’Adriatico, il doge veneto Pietro Trondonico si avviò con le sue navi verso sud per ristabilire ordine. In quell’occasione, scrisse il cronista Johanes Diaconus, egli incontrò il principe croato Mislav vicino una tenuta chiamata Sv. Martin (apud curtem sancti Martini) a Podstrana, ove venne stipulata pace, e dopo si avviò verso le isole di Brač e Hvar, controllate dai pirati di Neretva, per fare lo stesso con il regnante locale.
Le sedi del principe croato potevano essere situate a Bijaći nelle vicinanze di Trogir, a Solin, e senz’altro, a Klis. Nelle fonti storiche, questa fortezza viene direttamente collegata con il principe Trpimir, sopratutto per la trascrizione del documento rilasciato a Bijaći nell’852, ove egli conferma la donazione fatta dal suo predecessore, il principe Mislav. Vale a dire, intorno all’846-848, Trpimir ospitò nel suo podere a Klis, oppure a Rupotine sotto la fortezza di Klis, il famoso prete sassone Gottschalk che descrisse il suo soggiorno nella sua opera De trina deitate. Infatti, per aver predicato la propria dottrina (contraria alla dottrina ufficiale della chesa), Gottschalk venne scomunicato e quindi cercava rifugio in Italia, in Furlania e da principe croato. Gottschalk fu uno dei più grandi intelletti della sua epoca e questo particolare, ancorché apparentemente piccolo, dimostra l’importanza della Croazia verso la metà del nono secolo.
L’iscrizione della regina Elena
La regina croata Elena (Jelena) ci è conosciuta solo dalle informazioni ottenute dal suo famoso epitaffio, iscrizione scolpita sul suo sarcofago, ritrovato nel 1898 sull’isoletta di Gospin Otok a Solin. Essa fu una persona spesso descritta nella storia nazionale croata quale benefattrice, in maniera romantica della prassi ecclestiastica e civile del XIX e dell’inizio del XX secolo. Tuttavia, la sua importanza fu completamente diversa, e il ruolo che ebbe, secondo il suo epitaffio fu assai simile ai ruoli di altri regnanti di quel periodo. L’iscrizione annovera, tra l’altro, gli incarichi che dovette esercitare quale regina, e che furono completamente conformi agli impegni e ai doveri dei regnani coevi, secondo la legge prima romana e dopo bizantina (di Justiniano). Questo è una testimonianza evidente di connessione dell’antico stato croato e della sua dinastia con il sistema spirituale del mondo coevo: sia dell’Europa occidentale - carolingio, che orientale - greco-bizantino.
All’iscrizione qui va prestata maggior attenzione.
Il sarcofago frantumato della regina fu restaurato e l’iscrizione resa leggibile grazie all’enorme pazienza e diligenza dell’archeologo F. Bulić. Gli scienziati che avevano studiato i frammenti di sarcofago aggiunsero alcuni brani all’originale, però l’essenza è rimasta immutata. Qui riportiamo la nostra interpretazione della famosa iscrizione: “In questa tomba giace celebre Elena, moglie del re Mihajlo e madre del re Stjepan. Essa governava il regno. L’ottavo giorno prima delle ide ottobrine essa ivi fu sepolta in pace nell’anno 976 prima dell’incarnazione del Signore, nella quarta indizione, il quinto cerchio lunare, la diciasettesima epacta, il quinto cerchio solare che corrisponde al sesto. Essa, che al tempo della vita fu regina, divenne madre degli orfani e protettrice delle vedove. Tu, che guardi, dì: “Dio, abbi pietà della sua anima!”
Perché è questa iscrizione così importante? Innanzitutto, perché rivela il legame familiare tra i due re croati attraverso la loro moglie e madre. Inoltre, perché vi è riportata la data esatta di morte della regina che rappresenta uno dei pochi esempi nell’antica storia croata. Dimostra altresì la sussistenza di tradizione di epitaffi a Salona, che testimonia il livello spirituale e culturale della società croata di quell’epoca. Infine, e altrettanto importante, di questa iscrizione si è conservata una breve formula che verifica la presenza di norme legali romane e bizantine nello stato croato. Nell’iscrizione, infatti, si adduce che la regina Jelena fu madre degli orfani e protettrice delle vedove.
Il ruolo di protettore e tutore, infatti, non era una virtù personale; veniva dato ai regnanti e ai vescovi. Così, per esempio, l’epitaffio di Martin, arcivescovo di Split e coevo di Elena, ricorda che egli proteggeva le vedove ed era padre agli orfani. Un testo simile fu scritto nella lettera inviata dal re croato Zvonimir, subito dopo la sua incoronazione, al Papa Gregorio VII per esprimergli la sua lealtà. Nella sua lettera, il re promise di proteggere i poveri, le vedove e gli orfani. Infatti, questo principe croato fu inconorato re croato dal legato pontificio Gebison nel 1075 nella basilica di Ss. Pietro e Mosè a Salona, oggi chiamata Šuplja Crkva. Quegli epitaffi evidenziano benissimo che la Croazia all’epoca fu al livello degli altri paesi europei. Vale a dire, queste e simili formule furono conosciute nei paesi civilizzati di quel epoca, nei codici di Carlo Magno, per esempio.
L’epoca dei signori croati e delle comuni dalmate
Nel tardo Medioevo, quando la situazione politica locale fu essenzialmente cambiata poiché venne creata una coalizione politica con la dinastia degli Arpad, quando lo sviluppo economico che seguì l’evoluzione sociale portò alla configurazione di una forma specifica di feudalismo dalmato, invece di una città - Salona, qui entrano in collisione gli interessi delle due città, Trogir e Split, e dei signori della fortezza di Klis. Questo è il Medioevo croato che, negli esempi dell’area di Solin - Salona, dimostra le sue molteplici e sempre interessanti fisionomie.
Quando, nel continuo susseguirsi degli avvenimenti sociali, furono create delle presupposizioni economiche onde costituire uno stato di più ceti sociali in queste regioni, in Croazia si verificò il cambiamento di dinastia. I nobili avevano bisogno di un re che sarebbe stato un’autorità formale e che non gli avrebbe impedito di rendersi sempre più indipendenti. La signoria locale ritenne una notevole indipendenza sotto gli Arpad ungheresi e Angioini francesi. La loro indipendenza ingrandiva in proporzione al proprio potere, ricchezza e distanza dal re. Quindi, furono assai favorevoli ad una dinastia con trono addirittura in Ungheria. Questo, tra le altre peculiarità, fu essenza di una nuova epoca che iniziò nel XII e continuò nei secoli successivi. Quindi, alcune casate in Croazia, gli Šubić Zrinski per esempio, diventarono potenti dinastie di rango europeo. Al popolo di quell’epoca, particolarmente alla signoria, non fu importante la lingua in cui parlavano, ancora di meno la loro appartenenza etnica. L’unico fattore importante fu loro stato sociale e per tale motivo furono inclini ad accogliere i stranieri quale loro seniori, spesso lontani dagli avvenimenti locali. I nobili gradualmente divennero “stranieri” gli uni agli altri, nemici implacabili in continua lotta per il predominio su questo territorio, strada, ponte, porto, campagna, ecc. Questo fu uno dei contrassegni della società medievale.
L’area di Solin fino agli assalti Turchi
Sul posto dell’antica Salona non venne mai più formata una città o un abitato organizzato. Sorsero invece gli abitati più piccoli - villaggi: Prosik, Kuk (Kučine), Smoljevac, odierno Vranjic, Sućurac sotto il S. Giorgio di Putalj e numerosi casali i cui nomi andarono persi. Questi fatti vengono testimoniati maggiormente dai toponimi registrati nei documenti storici, chiese conservate, cimiteri scavati, vari ruderi, indagini archeologiche, ritrovamenti casuali (Glavičine, Gajine, Majdan) oppure dai toponimi ancora in uso.
Nel corso dei secoli del basso Medioevo l’importanza dei fiume Salon, oggi chiamata Jadro, fu notevole poiché essa segnava confine tra territori di Solin e Klis, e successivamente tra domini turchi e veneziani. In effetti, questo fu più un confine formale che reale. Nei secoli XVI e XVII, vale a dire, i Turchi facevano frequenti incursioni nell’area di Split, però accadevano anche dei casi contrari. Indubbiamente, questo territorio fu estremamente importante per ambedue le parti: per i Turchi affinché impedissero gli aiuti a Klis, per gli abitanti di Klis perché potessero ottenere quegli aiuti in maniera più facile. Quei conflitti aumentarono l’importanza del vicino porto di Solin. Oltre ad essere un confine fittizio fra il mondo occidentale, veneziano e quello orientale, ottomano, il fiume fu importante altresì economicamente in quanto vi furono molti mulini e qualchiere alimentati dall’acqua del fiume già dall’alto Medioevo.
Nel XIII secolo, nel periodo in cui le relazioni commerciali tra la costa e l’entroterra iniziarono a consolidarsi, il controllo del passo di Klis, cio’è della fortezza, e il vantaggio tratto dal traffico attraverso quel passo furono causa di scontri tra molte prestigiose famiglie croate. Fra i primi e più illustri furono gli Šubić. Già prima dell’episodio di Klis, quando il re ungaro Bela IV nel 1242, in fuga davanti ai Tatari, si rifugiò in Dalmazia - a Klis, Split e Trogir, gli Šubić spossessarano il principe Domagoj dalla sua fortezza e lo assoggettarono al loro governo. Gli Šubić furono presenti qui specialmente all’inizio e nel corso della prima metà del XIV secolo. In quel periodo, loro furono pari all’alta aristocrazia europea, ospiti alla corte degli Angiovini a Napoli e del Papa a Roma; loro negoziavano con i Veneti e governavano gli enormi territori lungo la costa e nel profondo retroterra. Klis fu indubbiamente una vera sede del potere feudale di una famiglia potente e prestigiosa. Gli interessi già menzionati delle due città, Trogir e Split, e dei signori di Klis si interecciarono nell’area di Solin e passarono diversi secoli finché vennero notati i primi segni premonitori di pericolo turco alla fine del XV e all’inizio del XVI secolo.
D’altronde, gli scontri tra le autorità comunali, i principi e la signoria della città con i Veneti e con i nobili croati, che nei tempi dei re croato-ungari (XIII-XV secolo) avevano molti interessi a Klis, Solin, Split e Trogir, non ci procurano delle informazioni importanti per la storia di Solin che qui viene raccontata.
Onde illustrare queste relazioni con un esempio, va manzionato Domaldo, principe di Split e potente feudatario, che governava Klis all’inizio del XIII secolo. Distaccandosi dai suoi sudditi di Split, causava inimicizie con loro mentre risiedeva a Klis. Tali personalità storiche furono assai numerose.
La seconda caduta di Salona - l’occupazione turca
Alla fine del XV secolo la minaccia turca si intuiva anche in queste parti poiché la sua forza espansionista arrivò ormai vicino Dalmazia. Dopo la conquista dello stato bosniaco nel 1463, poteva facilmente attacare e saccheggiare i territori dalmati: truppe turche arrivavano sempre più vicino a Solin. Pertanto Klis, come durante le guerre gotiche all’epoca di Justiniano nel VI secolo, si trovò nella stessa situazione come le altre simili fortificazioni nel retroterra: Bribir e Knin, in parte anche Skradin, che difendevano i territorii e la zona al loro occidente. Rappresentava un importante punto di difesa e, quindi, un importante obbiettivo dei conquistatori.
In tale contesto, l’area di Solin divenne importante sia ai Veneziani che ai Turchi. Preziose informazioni riportò lo scrittore turco Evlia Celebia (1611-circa 1682): ”Onde conquistare Klis, Gazi-Husref Bei propose (allo stato maggiore di Istambul) nel 1534, di fortificare Salona. La sua proposta fu accolta quindi egli fece erigere le fortificazioni attorno alla città, costruite di pietra scolpita in forma quadrangolare”. Si tratta, senza dubbio, di Gradina. È ancora difficile concludere se vi si trattasse di rafforzamento della fortezza per la quale F. Bulić e Lj. Karaman ritenevano che fosse stata costruita dal vescovo di Split Ugolino de Mala Branca nel XIV secolo. Gli abitanti di Klis la conquistarono e distrussero, in seguito i Turchi la riconquistarono, ricostruirono e rafforzarono poiché fu molto importante per il funzionamento del porto di Solin.
Una compagnia turca già nel 1471 irruppe nella campagna di Split sacceggiandola e devastandola. I Veneziani, che governavano la Dalmazia, evitavano però i conflitti con Istambul per le ragioni politiche. Loro si occupavano di situazione politica in totale, comprese le relazioni commerciali ed economiche, particolarmente nel Mediterraneo orientale. Tuttavia, per un secolo e mezzo si fecero guerre sanguinose e atroci. Ci furono numerosi scontri fra i Turchi, i cristiani turchizzati, i Morlachi, gli uscochi, le compagnie costituite dal popolo di Poljica, Split, Kaštela e mercenari europei - di fortuna variabile ma con terribili sofferenze e saccheggi che impoverivano l’intera zona. Il culmine di questo tragico passato fu lotta persistente del capitano, castellano e principe di Klis, già menzionato Petar Kružić, che cadde ucciso nel porto di Salona nel 1537, essendo rimasto senza sostegno sia del proprio re che dell’Europa. Tutte le sue suppliche e visite ai nobili ungheresi e al Papa a Roma furono invane: l’intera area di Klis passò ai Turchi. I nuovi signori, guidati da Rustem-pascia, nel 1541 fondarono Novo Selo (Villagio Nuovo) per i sopravissuti. La popolazione locale, quale coloni, coltivarono le terre, sia dei feudatari di Split che dei Turchi. Questo fu segno di una nuova coesistenza tra conquistatori e gli indigeni.
L’epoca veneziana
Quale aspetto ebbe l’antica città di Salona nel XVI secolo si può leggere in una relazione dello scrittore e prete veneziano G.B. Giustiniani: ”La nobiltà, ampiezza e grandiosità della città di Salona si può intuire dalla volta e dalle arcate dello splendido teatro (anfiteatro! Ž.R.), ancora visibili, dagli enormi blocchi di finissimo marmo sparpagliati sui campi, dalla belissima colonna, fatta di tre pezzi di marmo, ancora eretta ove fu, come si racconta, un arsenale accanto al mare, nonché da molti archi di qualità meravigliosa posati sulle alte colonne di marmo, tanto alte quanto può lanciare una mano, che sostenevano l’acquedotto portante acqua da Salona a Split... Attorno si vedono molte rovine e resti di palazzi, e su molti frammenti di belissimo marmo si leggono le antiche iscrizioni. Il suolo, però, si è sollevato ricoprendo antiche pietre e resti più presiozi.” Questo illustra benissimo il declino graduale della città, il riempimento di grande area, i depositi alluvionali creati dalle piogge e torrenti, dal fiume di Solin che cambiava il corso e influiva alla configurazione dell’intera delta, da Šuplja Crkva e Gospin Otok fino al mare.
A guisa di abitanti di Klis e di loro signori nei secoli precedenti, i Turchi arrecavano danni e ostacolavano lo sviluppo dei territori di Solin e Split nei secoli XVI e XVII. Come l’arcivescovo Ugolino di Mala Branca costruì la fortificazione di Prosik (ne abbiamo saputo dai documenti, però nella località di Prosik non se ne trovano i resti) nel XIV secolo per difendersi dal popolo di Klis, così le autorità veneziane costruirono una fortificazione sul ponte di Solin onde difendere Split dai Turchi.
Tuttavia, durante l’occupazione turca di una parte rilevante della Dalmazia, ci furono anche dei decenni di prosperità, di relazioni pacifiche e di coesistenza fruttifera fra i Turchi, la popolazione locale e gli abitanti di Split. Così una storia romantica che racconta l’amore tra un giovane Turco, Adel, e una ragazza croata, Mara, entrò nella letteratura e in due opere liriche, nel poema Adel e Mara del poeta croato del XIX secolo Luka Botić, poi messo in musica da due compositori, Josip Hatze e Ivo Parać. Però, assai più importanti furono i fiorenti rapporti commerciali che contribuivano alla prosperità di Split, ove sulla costa furono costruiti i lazzaretti, magazzini per le merci in transito e per mettere in quarantena le merci e i viaggiatori. Nel tardo XVI secolo, infatti, in un periodo di rapporti politici, militari ed economici veneto-turchi piuttosto pacifici, Split divenne importante centro per il commercio di transito con il continente musulmano. Consentito dalla Repubblica veneta e sostenuto dallo stimato commerciante, ebreo spagnolo Daniel Rodrigo, nel 1581 fu iniziata la costruzione dei lazzaretti accanto alla torre sudest del palazzo di Diocleziano. I lazzaretti di Split furono per un certo periodo di tempo fra i più grandi del Mediterraneo: vasto complesso di edifici con depositi, dogana e banca, e inoltre la quarantena per gli uomini, le merci e le materie prime che arrivavano per mare a Split e attraverso Solin, Klis e Trilj, ovvero Sinj, viaggiavano verso il profondo entroterra. Il porto di Split ebbe le banchine d’attracco ben costruite per accogliere numerose navi che vi facevano scalo. I fiorenti rapporti commerciali contribuivano sia allo svillupo di Split che dell’intera regione.
Le guerre tra Venezia e la Turchia interruppero questo prolifico commercio marittimo e terrestre, quindi la città e l’intero suo circondario geografico e spirituale si ritirarono entro i limiti più modesti poiché per molti secoli venne meno quel prospero fattore commerciale che congiugeva la costa e il retroterra. Fu rinnovato soltanto all’inizio del XX secolo quando erano costruite le linee ferroviarie, prima per Sinj e, molto più tardi, per Zagreb (1925).
L’area di Solin e la fortezza di Klis sotto il dominio turco
Dopo la conquista, a Klis venne costituita la regione amministrativa detta Kliško-Lički Sandžak, estesa da Konjic, Bosansko Grahovo e Gračac quasi fino al mare, a Skradin e Benkovac. Questi vasti ed eterogenei territori furono divisi in unità civili e militari più piccole. In tale ordinamento militare e amministrativo Klis, essendo un paese di confine adiacente ai territori veneziani estesi lungo la costa, ebbe un’importanza particolare e fu protetto da un forte guarnigione. Per ragioni strategiche i governatori veneziani della Dalmazia cercarono frequentemente di riprenderlo dai Turchi: nel 1571 e di nuovo l’anno seguente, poi nel 1578 e 1586. Finalmente, nel 1596, il nobile di Split, Ivan Alberti riuscì ad addentrarsi in Klis, però solo per breve tempo. Oltre alle ragioni militari che furono di natura mutevole, sul corso degli avvenimenti influenzarono altresì le relazioni prammatiche tra Venezia e i Turchi, ovvero i rapporti tra questi due da una e gli Ausburghi dall’altra parte.
Le globali condizioni politiche nel Mediterraneo provocarono due guerre veneto-turche, la guerra di Candia (1645-1649) e la guerra di Morea (1684-1699).
Nella prima, l’area di Solin con Klis alle sue spalle fu di nuovo campo di grandi battaglie poiché la Repubblica aveva bisogno di questo importante punto strategico, fortezza sul passo, per poter controllare il retroterra verso Sinj, e più avanti verso Knin e Livno. Nel 1648, il grande esercito veneziano, formato da grande numero di mercenari e popolazione locale croata sotto il comando del generale Leonardo Foscolo ed alcuni altri rispettabili comandanti dell’epoca, si radunò nella campagna di Solin e attaccò Klis conquistandolo dopo una breve battaglia che durò pochissimi giorni. Fino alla sconfitta dei Turchi vicino a Sinj nel 1715, ci furono numerosi scontri, conflitti e saccheggi, però dopo questo avvevimento, a cui ricordo vi si celebra ogni anno la giostra degli anelli (Alka), la frontiera venne scostata sufficientemente lontano per procurare pace a tutto questo territorio.
L’area di Solin dopo la partenza dei Turchi: l’amministrazione veneta, francese e austriaca
L’area di Solin alla fine delle guerre veneto-turche fu abbandonata e devastata: Solin fu espugnato nel 1647 e Klis nel 1648. In seguito, alla fine del XVII secolo, il generale Leonardo Foscolo colonizzò, come si crede, più di sei cento famiglie nel territorio incolto e spopolato di Solin e Vranjic, soppratutto sulla penisola di Vranjic, a Kaštela, Solin, Klis e Kamen. La maggior parte proveniva dalla vicina rettroterra dalmata, per lo più da Drniš, portandosi loro modesto bestiame: alcune greggi di pecore, pochi capi di bestiame grosso e qualche cavallo. Questo popolo fu di varie religioni, compresi musulmani e cristiani ortodossi che, giunti qui, avevano abbracciato la fede cattolica cercando lavoro sulle terre dei possidenti di Split e Kaštela. Gli immigrati vi portarono altresì le loro usanze, parole, termini e soprannomi però in uso rimasero alcuni vecchi di origine turca. L’origine etnica e linguistica, l’epoca e gli avvenimenti sono ancora riconoscibili in diversi nomi, cognomi e toponimi (Meterize, Majdan, Arapovac, Megdan, Markezina Greda, ecc.).
I coloni avevano obbligo del servizio militare, e loro compito era di difendere l’area popolata. Innanzitutto perché fino al 1715 e la battaglia di Sinj, ci furono molte incursioni e scontri campanilistici con i Turchi che dal retroterra periodicamente insidiavano Klis e la campagna di Split. Nel XVIII secolo iniziò il rinnovamento della scarsa agricoltura e pastorizia locale, condizionata dalle circistanze naturali ed economiche. Attorno al 1725, secondo l’elenco dell’arcivescovato di Split, nel territorio di Solin e Vranjic visse più di seicento abitanti, un numero relativamente grande. Solin, tuttavia, non progredì in maniera più significativa rimanendo a livello dei piccoli villaggi di quel periodo sorti o risuscitati per tutta la Dalmazia.
Acquistò certa importanza economica dai mulini e gualchiere, sia antichi che di nuova costruzione, sul fiume di Solin, che prestarono loro servizi a un territorio assai vasto lungo la costa e nell’entroterra dalmato. Vennero costruite le nuove chiese, di modesto stile barocco rurale dalmato, di semplice forma e decorazione e di atmosfera intima. Una fonte storica del 1658 riporta che a Kamen, villaggio formato dopo il ritiro dei Turchi dall’area di Solin, fu costruita una nuova chiesa dedicata a S. Michele (Sv. Mihovil). Simili esempi vi furono nei vicini villaggi e casali. A Klis la chiesa fu dedicata all’Assunta e a Vranjic a S. Martino (Sv. Martin). A Solin fu eretta la chiesa della Madonna sull’Isola (Gospa na Otoku).
Le rovine di Salona attiravano l’attenzione già dall’epoca rinascimentale: l’umanista di Split, scrittore Marko Marulić e il nobile Dmino Papalić passeggiavano qui annotando e raccogliendo le iscrizioni romane. Però, ce ne furono state anche le intenzioni assai meno nobili. Nel 1678, per esempio, il provveditore veneziano P. Valier nel 1678 diede in premio al poeta Jeronim Kavanjin i blocchi di pietra degli edifici di Solin per i suoi servizi alla Repubblica. Nel 1711, all’arcivescovo di Split S. Cupillio fu altresì permesso di usare le pietre di Salona. Verso la fine del XVIII secolo molte casse piene di pietra e sculture furono mandate al provveditore di Zadar.
Ce ne sono tantissimi esempi, e fra quelli meno drastici va menzionato che anche gli abitanti di Split, Vranjic e Solin avevano incastrato sculture, iscrizioni, frammenti architettonici e altre pietre antiche nei muri delle loro case. Nel suo libro Topografia e scavi di Salona, pubblicato a Trieste nel 1859, F. Carrara scrive così: “La storia ci rivela le ragioni di tale rovina che, come ho già detto all’inizio, è stata causata più dal vandalismo dei nipoti che dalle barbarie dei nonni. Salona era sempre considerata dalla popolazione locale come una cava di pietra. Nel XV secolo dai suoi ruderi in gran parte furono eretti il campanile di Split e la cattedrale di Trogir, da qui i Veneziani presero le pietre per i loro palazzi e il popolo di Split per le loro mura, il popolo di Solin ne prendeva continuamente per qualsiasi tipo di costruzione...”. Va menzionato, tuttavia, che la sorte delle rovine di Solin all’epoca non rappresentava nessuna eccezione in Europa. Simile comportamento di provveditori veneziani, ufficiali militari e comandanti locali non fu evidenziato solamente a Salona e, come talvolta si ritiene, diretto alla distruzione dei monumenti di Salona. Una città deserta, tutta di pietra, ancora oggi nella mente di gente ignorante viene condannata alla distruzione e le pietre di tali rovine vengono raccolte o murate. Questa fu una prassi conosciuta in tutta l’Europa. Fu un comportamento comune. Precisamente, una strategia militare ben documentata che ordinò la distruzione dell’anfiteatro di Salona.
All’inizio del XIX secolo si verificò una crescita del clima culturale e spirituale per cui le antichità archeologiche gradualmente acquistarono importanza e valore: venivano raccolte in collezioni e in musei (Museo archeologico di Split fu fondato nel 1820), di loro si scrivevano libri (F. Lanza, F. Carrara), venivano documentati a penna e a pennello dagli scrittori e pittori sia locali che stranieri.